Accento grave e accento acuto
I diacritici maggiormente presenti nella lingua italiana sono l'accento grave (`) e l'accento acuto (´). Sporadicamente si presenta l'accento circonflesso (^), che si può dire ormai in via di estinzione, ma che già in passato da molti studiosi e in diversi periodi è stato considerato estraneo all'italiano. L'accento grafico propriamente detto può dirsi anche segnaccento o segno d'accento, in maniera equivalente.
Uso dell'accento
L'uso dell'accento è regolato dalla norma UNI 6015:2009 Segnaccento obbligatorio nell'ortografia della lingua italiana, peraltro non da tutti condivisa (vedi oltre) che sostituisce e adegua la norma del 1967. Il principio sotteso alla norma è che essendo l'accento in italiano obbligatorio solo negli ossitoni, nelle parole cioè che recano l'accento sull'ultima sillaba, oltre ad alcuni monosillabi, esso può avere valore distintivo in tale posizione solo per i valori chiuso e aperto della vocale <e>, per la quale andrà di conseguenza modulato fra acuto e grave, a seconda che si rappresentino i fonemi /e/ e /ɛ/ nella forma <é> e <è>, mentre per le vocali rimanenti <a>, <o>, <i>, <u> si userà l'accento grave <à>, <ò>, <ì>, <ù>, indipendentemente dal valore di apertura, in linea con gli usi storici dell'accento nella tipografia italiana. Seguono quest'uso, e la norma, dichiaratamente, per esempio, la grammatica italiana di Serianni e la casa editrice Olschki (Suggerimenti per chi scrive con il computer e alcune regole di citazione, 2007:12).
Il segno d'accento è obbligatorio su alcuni monosillabi per i quali esiste una doppia forma con diverso significato:
Forma con accento | Forma senza accento |
ché («poiché», congiunzione causale) | che (congiunzione in ogni altro senso, o pronome) |
dà (indicativo presente di dare) | da (preposizione) e da' (imperativo di dare) |
dì («giorno») | di (preposizione) e di' (imperativo di dire) |
è (verbo) | e (congiunzione) |
là (avverbio) | la (articolo, pronome, nota musicale) |
lì (avverbio) | li (articolo, pronome) |
né (congiunzione) | ne (pronome, avverbio) |
sé (pronome tonico) | se (congiunzione, pronome atono) |
sì («così», o affermazione) | si (pronome, nota musicale) |
tè (pianta, bevanda) | te (pronome) |
L'accento va inoltre segnato sui monosillabi chiù, ciò, diè, fé, già, giù, piè, più, può, scià.
L'accento grafico è obbligatorio in fine di parola nei polisillabi ossitoni, parole nelle quali l'accento tonico è sull'ultima sillaba conosciute anche come parole 'tronche': andrà, parlerò, giurì, rococò ecc.
In questi casi, come è stato anticipato in premessa, sulle vocali <a>, <o>, <i>, <u> si segnerà l'accento grave (`).
La vocale <e> in sillaba finale è suscettibile pronuncia chiusa o aperta, la qual cosa trova riscontro nell'utilizzo di un accento acuto e di un accento grave rispettivamente.
L'accento è sempre grave sulle parole seguenti:
è, ahimè, ohimè, caffè, canapè, cioè, coccodè, diè, piè
Inoltre è grave sulla gran parte degli adattamenti dal francese:
lacchè, gilè, tè, bebè, cabarè, purè ecc.
Ancora l'accento è grave sulla maggior parte dei nomi propri:
Giosuè, Mosè, Noè, Salomè, Tigrè
L'accento è sempre acuto sulle parole seguenti:
ché («poiché») e i composti di che (affinché, macché, perché ecc.)
fé e i composti affé, autodafé
i composti di re e di tre (viceré, ventitré)
i passati remoti (credé, temé ecc., escluso diè)
Inoltre è acuto sulle parole:
mercé, né, scimpanzé, sé, testé
Nell'uso facoltativo dell'accento grafico per distinguere gli omografi, anche i due timbri della <o>, chiuso /o/ e aperto /ɔ/, si rappresenteranno con l'accento acuto <ó> e grave <ò> rispettivamente. Naturalmente per le altre vocali continueranno a valere le regole stabilite per la sillaba tonica in fine di parola. Per esempio:
bótte, recipiente da vino; bòtte, percosse
vólto, viso, faccia; vòlto, part,pass. di volgere
Non di rado si trovano scritture dense di accenti in posizione interna e non mancano esempi illustri, da Verga a Montale. Tuttavia, avverte Salvatore Battaglia:
S. Battaglia e V. Pernicone, La grammatica italiana, II ed., Torino, Loescher-Chiantore, 1954:47
I sistemi dell'accentazione italiana
Amerindo Camilli nella Biblioteca di Italia Nostra (Grafia e pronuncia dell'italiano, Firenze, Sansoni, 1965:119) riconosce quattro distinti sistemi di accentazione dell'italiano, rielaborati in tabella nella quale ho aggiunto i fonemi in testa per chiarezza:
/i/ | /e/ | /ɛ/ | /a/ | /ɔ/ | /o/ | /u/ | |
I sistema | ì | è | è | à | ò | ò | ù |
II sistema | ì | è | é | à | ò | ó | ù |
III sistema | í | è | é | à | ò | ó | ú |
IV sistema | í | è | é | á | ò | ó | ú |
E commenta: «Il primo sistema, che è il più comune, non distingue [e, o] da [ɛ, ɔ]; gli altri tre fanno é, ó = [e, o]; è, ò = [ɛ, ɔ].»
Un quinto sistema, secondo che annota lo stesso Camilli, è richiamato dal Migliorini (Lingua contemporanea, 4ª ed., Firenze, 1963:62-63) che ricorda come «per l'accento acuto o grave, gli stampatori del Cinquecento avevano seguito una norma ricalcata sul greco: accento acuto all'interno della parola, accento grave alla fine.»
La tendenza a riconoscere tramite l'accento il timbro chiuso o aperto delle vocali <e> e <o> si trova però già in Fornaciari che, pur accogliendo il sistema alla greca descritto da Migliorini, a pagina 6 scrive:
Raffaello Fornaciari, Grammatica italiana dell'uso moderno, II edizione, Firenze, Sansoni
La tendenza ad impiegare gli accenti acuto e grave per distinguere suoni chiusi o aperti è confermata da Malagòli, che la rileverà principalmente in ordine all'applicazione del quarto sistema di accenti illustrato sopra, del quale è convinto sostenitore.
Giuseppe Malagòli, Ortoepia e ortografia italiana moderna, II ed., Milano, Ulrico Hoepli, 1912:111-112
Infatti:
Giuseppe Malagòli, Ortoepia e ortografia italiana moderna, II ed., Milano, Ulrico Hoepli, 1912:29, nota 1
Battaglia e Pernicone decenni più tardi non riescono come si vede a risolvere le incertezze ammettendo da un lato la validità della differenziazione negli accenti a seconda della pronuncia larga o stretta e dall'altro concludendo contraddittoriamente che l'accento in fine di parola ha solamente la funzione di segnare la tonica senza voler necessariamente distinguere il timbro.
La nostra ortografia si vale di due accenti: il grave (`) e l'acuto (´): e soltanto per le parole «tronche». (...) Al di fuori di queste, si segna a volte l'accento per distinguere le vocali «aperte» dalle «chiuse» (cioè, è ed ò rispetto ad é ed ó; ...).
Si segna l'accento «grave» su quasi tutte le vocali finali delle «tronche» (sulla a: bontà, carità, verità; sulla ì: ardì, bisturì, così, perì; sulla u: giù, più, virtù, tabù, tribù, zulù, Perù; sulla vocale o: (che, del resto, in fine di parola ha sempre una pronunzia «aperta»): darò, dirò, lodò, parlò, ciò, perciò, può, però, ecc. Anche sulla e si pone l'accento «grave», indicando la pronunzia «aperta»: è cioè, ahimè, caffè, tè (la bevanda), ecc.; e, invece, in alcuni casi si dovrebbe adoperare l'accento «acuto»per indicare la pronunzia «chiusa» (o «stretta»), e precisamente: né, ché, sé, perché (e tutti i derivati: giacché, poiché, benché, sicché, ecc.), tutte le terze persone accentate del passato remoto secondo il tipo godé (o godette) , temé (o temette); inoltre in testé e mercé; e in tre e in re quando chiudono una parola composta: ventitré, trentatré, ecc., viceré. Tuttavia anche in questi casi si finisce coll'usare l'accento «grave», che non pretende di indicare il «timbro» della vocale, ma si limita a segnare soltanto il suo valore «tonico».
S. Battaglia e V. Pernicone, La grammatica italiana, II ed., Torino, Loescher-Chiantore, 1954:47
Oggi la disputa, a tratti molto accesa, è fra il secondo e il terzo sistema, tra chi sostiene che non vi è alcuna necessità di indicare altro che l'accento grave sulle vocali <a>, <i> e <u> che non sono suscettibili di una seconda pronuncia e per le quali conviene attenersi ai canoni della tradizione letteraria e tipografica italiana, e chi, linguisti soprattutto, considerando che quei canoni siano stati comunque se non stravolti almeno manomessi, non condivide la disparità di trattamento delle vocali chiuse per natura <i> e <u>, rispetto alle vocali chiuse indicate dai grafemi <é>, <ó>. In altre parole, se si è voluto riconoscere agli accenti la capacità di distinguere l'apertura vocalica, segnare <u> e <i> con l'accento grave è quantomeno incoerente, se non errato del tutto.
Il problema non è risolto e il comportamento degli editori, nonostante la presa di posizione dell'UNI intervenuto con una norma, non è univoco.
Gli accenti sulla tastiera
Sulla tastiera di Windows è semplice trovare alcuni accenti, mentre è più difficile poterne battere altri. Gli accenti facilmente reperibili sono quelli, tutto sommato, storicamente disponibili sulla macchina per scrivere, le ui impostazioni aderiscono al Sistema I. Tutte le vocali accentate, con accento grave e accento acuto, peraltro possono essere battute con una combinazione di tasti, sia in Windows che su Mac.
Aggiungo nelle tabelle i codici html per ottenere le lettere accentate.
Vocali in carattere minuscolo | ||||||||||
à | á | è | é | ì | í | ò | ó | ù | ú | |
Windows |
à alt + 0224 |
alt + 0225 |
è alt + 0232 |
é alt + 0233 |
ì alt + 0236 |
alt + 0237 |
ò alt + 0242 |
alt + 0243 |
ù alt + 0249 |
alt + 0250 |
Mac | ì | è | é | à | ò | |||||
html | à | á | è | é | ì | í | ò | ó | ù | ú |
Indice degli argomenti
Introduzione (5)
- Definizione del libro e terminologia relativa
- Formati librari
- Formato della carta
- Impostazione della pagina
- Le parti del libro
Pagine iniziali (5)
Testo o corpo del testo (4)
Abbreviazioni e simboli (5)
- Abbreviazioni
- Abbreviazioni nomi di persona
- Sigle e acronimi
- Titoli civili e militari
- Trattamento del testo con le abbreviazioni