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Accento grave e accento acuto

Scritto da Giovanni Pallotta il . Pubblicato in Trattamento del testo.

I diacritici maggiormente presenti nella lingua italiana sono l'accento grave (`) e l'accento acuto (´). Sporadicamente si presenta l'accento circonflesso (^), che si può dire ormai in via di estinzione, ma che già in passato da molti studiosi e in diversi periodi è stato considerato estraneo all'italiano. L'accento grafico propriamente detto può dirsi anche segnaccento o segno d'accento, in maniera equivalente.

Uso dell'accento

L'uso dell'accento è regolato dalla norma UNI 6015:2009 Segnaccento obbligatorio nell'ortografia della lingua italiana, peraltro non da tutti condivisa (vedi oltre) che sostituisce e adegua la norma del 1967. Il principio sotteso alla norma è che essendo l'accento in italiano obbligatorio solo negli ossitoni, nelle parole cioè che recano l'accento sull'ultima sillaba, oltre ad alcuni monosillabi, esso può avere valore distintivo in tale posizione solo per i valori chiuso e aperto della vocale <e>, per la quale andrà di conseguenza modulato fra acuto e grave, a seconda che si rappresentino i fonemi /e/ e /ɛ/ nella forma <é> e <è>, mentre per le vocali rimanenti <a>, <o>, <i>, <u> si userà l'accento grave <à>, <ò>, <ì>, <ù>, indipendentemente dal valore di apertura, in linea con gli usi storici dell'accento nella tipografia italiana. Seguono quest'uso, e la norma, dichiaratamente, per esempio, la grammatica italiana di Serianni e la casa editrice Olschki (Suggerimenti per chi scrive con il computer e alcune regole di citazione, 2007:12).

Il segno d'accento è obbligatorio su alcuni monosillabi per i quali esiste una doppia forma con diverso significato:

 

Forma con accento Forma senza accento
ché («poiché», congiunzione causale) che (congiunzione in ogni altro senso, o pronome)
dà (indicativo presente di dare) da (preposizione) e da' (imperativo di dare)
dì («giorno») di (preposizione) e di' (imperativo di dire)
è (verbo) (congiunzione)
là (avverbio) la (articolo, pronome, nota musicale)
lì (avverbio) li (articolo, pronome)
né (congiunzione) ne (pronome, avverbio)
sé (pronome tonico) se (congiunzione, pronome atono)
sì («così», o affermazione) si (pronome, nota musicale)
tè (pianta, bevanda) te (pronome)


L'accento va inoltre segnato sui monosillabi chiù, ciò, diè, fé, già, giù, piè, più, può, scià.

L'accento grafico è obbligatorio in fine di parola nei polisillabi ossitoni, parole nelle quali l'accento tonico è sull'ultima sillaba conosciute anche come parole 'tronche': andrà, parlerò, giurì, rococò ecc.

In questi casi, come è stato anticipato in premessa, sulle vocali <a>, <o>, <i>, <u> si segnerà l'accento grave (`).

La vocale <e> in sillaba finale è suscettibile pronuncia chiusa o aperta, la qual cosa trova riscontro nell'utilizzo di un accento acuto e di un accento grave rispettivamente.

L'accento è sempre grave sulle parole seguenti:

è, ahimè, ohimè, caffè, canapè, cioè, coccodè, diè, piè

 

Inoltre è grave sulla gran parte degli adattamenti dal francese:

lacchè, gilè, tè, bebè, cabarè, purè ecc.

 

Ancora l'accento è grave sulla maggior parte dei nomi propri:

Giosuè, Mosè, Noè, Salomè, Tigrè

 

L'accento è sempre acuto sulle parole seguenti:

ché («poiché») e i composti di che (affinché, macché, perché ecc.)
fé e i composti affé, autodafé
i composti di re e di tre (viceré, ventitré)
i passati remoti (credé, temé ecc., escluso diè)

 

Inoltre è acuto sulle parole:

mercé, né, scimpanzé, sé, testé

 

Nell'uso facoltativo dell'accento grafico per distinguere gli omografi, anche i due timbri della <o>, chiuso /o/ e aperto /ɔ/, si rappresenteranno con l'accento acuto <ó> e grave <ò> rispettivamente. Naturalmente per le altre vocali continueranno a valere le regole stabilite per la sillaba tonica in fine di parola. Per esempio:

 

bótte, recipiente da vino; bòtte, percosse
vólto, viso, faccia; vòlto, part,pass. di volgere

 

Non di rado si trovano scritture dense di accenti in posizione interna e non mancano esempi illustri, da Verga a Montale. Tuttavia, avverte Salvatore Battaglia:

Bisogna subito dire che l'uso dell'accento delle parole che non siano tronche è superfluo. La tradizione letteraria e tipografica indica la renitenza dell'italiano ad impiegare l'accento nel corpo della parola.

  S. Battaglia e V. Pernicone, La grammatica italiana, II ed., Torino, Loescher-Chiantore, 1954:47

 

I sistemi dell'accentazione italiana

Amerindo Camilli nella Biblioteca di Italia Nostra (Grafia e pronuncia dell'italiano, Firenze, Sansoni, 1965:119) riconosce quattro distinti sistemi di accentazione dell'italiano, rielaborati in tabella nella quale ho aggiunto i fonemi in testa per chiarezza:

 

/i/ /e/  /ɛ/   /a/ /ɔ/  /o/ /u/
I sistema ì   è  è à  ò ò ù 
II sistema ì è é à ò ó ù
III sistema í è é à ò ó ú
IV sistema í è é á ò ó ú

E commenta: «Il primo sistema, che è il più comune, non distingue [e, o] da [ɛ, ɔ]; gli altri tre fanno éó = [e, o]; è, ò = [ɛ, ɔ].»

Un quinto sistema, secondo che annota lo stesso Camilli, è richiamato dal Migliorini (Lingua contemporanea, 4ª ed., Firenze, 1963:62-63) che ricorda come «per l'accento acuto o grave, gli stampatori del Cinquecento avevano seguito una norma ricalcata sul greco: accento acuto all'interno della parola, accento grave alla fine.» 

La tendenza a riconoscere tramite l'accento il timbro chiuso o aperto delle vocali <e> e <o> si trova però già in Fornaciari che, pur accogliendo il sistema alla greca descritto da Migliorini, a pagina 6 scrive:

 

In tutte le parole ... noi useremo l'acuto in mezzo od in principio di parola, ed il grave in fine; eccettuando soltanto l'e e l'o aperte che, dovendo avere accento, l'avranno sempre grave; e l'e e l'o chiuse, che, dovendo avere accento, l'avranno sempre acuto. ... seguiremo l'uso ormai invalso in Italia, di segnare sull'ultima sillaba l'accento grave, ed in mezzo ed in principio non porre alcun accento, fuorché nei casi di equivoco, nei quali scriveremo per regola l'acuto e per eccezione il grave.

  Raffaello Fornaciari, Grammatica italiana dell'uso moderno, II edizione, Firenze, Sansoni

 

La tendenza ad impiegare gli accenti acuto e grave per distinguere suoni chiusi o aperti è confermata da Malagòli, che la rileverà principalmente in ordine all'applicazione del quarto sistema di accenti illustrato sopra, del quale è convinto sostenitore.

Va sempre piú diffondendosi l'uso molto ragionevole e comodo di segnare, anche in questo caso, coll'accento acuto e chiusa, e iuperchépartípiú: e coll'accento grave e aperta, e o, che in fine dei polisillabi tronchi non è mai chiuso (cfr. n. 44, 7): caffèparleròstudierò ('). Quanto ad a, vocale neutra, è da preferirsi l'accento acuto, che è il segno proprio della vocale tonica.

  Giuseppe Malagòli, Ortoepia e ortografia italiana moderna, II ed., Milano, Ulrico Hoepli, 1912:111-112

Infatti:

Ufficio dell'accento acuto è, scientificamente, di indicare la vocale tonica. L'uso del grave in tal caso è, come avverte anche il Rigutini (Diz., p. XXVIII, n. 2), un uso errato. Si fa eccezione nella pratica per e e larghi, che torna comodo e semplice distinguere coll'accento grave. — Per gli accenti nell'italiano si vedano anche le lettere del Fiammazzo in La Biblioteca delle Scuole ital. 1899, nn. 17-18 e 1904, n. 11 — Se per l'uso dell'accento acuto parrà a taluno che noi ci scostiamo dal nostro criterio di seguire il sistema più generalmente accettato, che è quello dell'accento grave in ogni caso, si pensi all'insufficienza di tale sistema e alla convenienza di porvi un riparo con fondamento sicuro e accettabile per tutti.

  Giuseppe Malagòli, Ortoepia e ortografia italiana moderna, II ed., Milano, Ulrico Hoepli, 1912:29, nota 1

 Battaglia e Pernicone decenni più tardi non riescono come si vede a risolvere le incertezze ammettendo da un lato la validità della differenziazione negli accenti a seconda della pronuncia larga o stretta e dall'altro concludendo contraddittoriamente che l'accento in fine di parola ha solamente la funzione di segnare la tonica senza voler necessariamente distinguere il timbro.

La nostra ortografia si vale di due accenti: il grave (`) e l'acuto (´): e soltanto per le parole «tronche». (...) Al di fuori di queste, si segna a volte l'accento per distinguere le vocali «aperte» dalle «chiuse» (cioè, è ed ò rispetto ad é ed ó; ...).

Si segna l'accento «grave» su quasi tutte le vocali finali delle «tronche» (sulla a: bontà, carità, verità; sulla ì: ardì, bisturì, così, perì; sulla u: giù, più, virtù, tabù, tribù, zulù, Perù; sulla vocale o: (che, del resto, in fine di parola ha sempre una pronunzia «aperta»): darò, dirò, lodò, parlò, ciò, perciò, può, però, ecc. Anche sulla e si pone l'accento «grave», indicando la pronunzia «aperta»: è cioè, ahimè, caffè, tè (la bevanda), ecc.; e, invece, in alcuni casi si dovrebbe adoperare l'accento «acuto»per indicare la pronunzia «chiusa» (o «stretta»), e precisamente: né, ché, sé, perché (e tutti i derivati: giacché, poiché, benché, sicché, ecc.), tutte le terze persone accentate del passato remoto secondo il tipo godé (o godette) , temé (o temette); inoltre in testé e mercé; e in tre e in re quando chiudono una parola composta: ventitré, trentatré, ecc., viceré. Tuttavia anche in questi casi si finisce coll'usare l'accento «grave», che non pretende di indicare il «timbro» della vocale, ma si limita a segnare soltanto il suo valore «tonico».

  S. Battaglia e V. Pernicone, La grammatica italiana, II ed., Torino, Loescher-Chiantore, 1954:47

Oggi la disputa, a tratti molto accesa, è fra il secondo e il terzo sistema, tra chi sostiene che non vi è alcuna necessità di indicare altro che l'accento grave sulle vocali <a>, <i> e <u> che non sono suscettibili di una seconda pronuncia e per le quali conviene attenersi ai canoni della tradizione letteraria e tipografica italiana, e chi, linguisti soprattutto, considerando che quei canoni siano stati comunque se non stravolti almeno manomessi, non condivide la disparità di trattamento delle vocali chiuse per natura <i> e <u>, rispetto alle vocali chiuse indicate dai grafemi <é>, <ó>. In altre parole, se si è voluto riconoscere agli accenti la capacità di distinguere l'apertura vocalica, segnare <u> e <i> con l'accento grave è quantomeno incoerente, se non errato del tutto.

Il problema non è risolto e il comportamento degli editori, nonostante la presa di posizione dell'UNI intervenuto con una norma, non è univoco.


Gli accenti sulla tastiera

Sulla tastiera di Windows è semplice trovare alcuni accenti, mentre è più difficile poterne battere altri. Gli accenti facilmente reperibili sono quelli, tutto sommato, storicamente disponibili sulla macchina per scrivere, le ui impostazioni aderiscono al Sistema I. Tutte le vocali accentate, con accento grave e accento acuto, peraltro possono essere battute con una combinazione di tasti, sia in Windows che su Mac.

Aggiungo nelle tabelle i codici html per ottenere le lettere accentate.
 

Vocali in carattere minuscolo
à á è é ì í ò ó ù ú
Windows

à 

alt + 0224

 

alt + 0225

 è

alt + 0232

é

alt + 0233

 ì

alt + 0236

 

alt + 0237

ò

alt + 0242

 

alt + 0243

 ù

alt + 0249


alt + 0250 

Mac ì è é à ò
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