Punteggiatura
Con il termine punteggiatura si indica l’insieme dei segni ortografici che in un testo scritto o stampato servono a chiarire il significato delle parole e a facilitarne la comprensione, evidenziare la struttura e la connessione dei periodi, segnare le pause da osservare nella lettura e l’intonazione della frase.
Un uso equilibrato della punteggiatura è auspicabile nella maggior parte dei casi. Uno scritto affollato di segni infatti trasmette l’idea di un testo poco compatto e molto frammentato, mentre al contrario una punteggiatura troppo povera può condurre a fraintendimenti e a errori di interpretazione. Tuttavia siccome la punteggiatura riflette lo stile di chi scrive, risulta in genere difficile dettare regole in ordine all’uso corretto che se ne può fare.
L’editore farà bene perciò ad usare molta cautela nel consigliare cambiamenti nella punteggiatura, eccetto quelli necessari per correggere errori di grammatica, chiarire il significato e adeguarsi all’uniformità generale.
Apostrofo
L'apostrofo in italiano indica l'elisione di una vocale o il troncamento di una sillaba. Nelle date è messo in luogo del millesimo e/o del centesimo. L'apostrofo che segue una vocale richiede l'inserimento di uno spazio dopo di esso.Va battuto senza nessuno spazio quando segua la consonante. L'apostrofo davanti a consonante (tranne <h>) o a un numero è invece preceduto da uno spazio.
Asterisco
L'asterisco deve il suo nome alla forma che ricorda una piccola stella (dal lat. tardo asterĭscum da aster ‘astro, stella’). Si mettono sempre in numero di tre, per segnalare una reticenza, un'omissione voluta, per tacere del nome di una persona.
È venuto a visitarmi il signore T*** che tu conoscesti a Padova. (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1837:7)
In linguistica storica, è uso far precedere dall'asterisco un termine ricostruito del quale non si hanno attestazioni oppure una forma grammaticale scorretta.
Due punti
I due punti introducono il discorso diretto, nel qual caso sono sempre seguiti dalle virgolette o dalla lineetta, una spiegazione, una dimostrazione, un elenco. Non si usa nidificare i due punti all'interno del periodo, è cioè sconsigliato l'uso dei due punti in un periodo a sua volta introdotto dai due punti, anche se storicamente la scrittura del primo novecento ne ammetteva l'impiego. In generale, la scrittura moderna non riconosce largo impiego ai due punti al cui posto, in ossequio a periodi più brevi e veloci, si trova invece frequentemente il punto fermo.
I due punti si trovano spesso, sul modello anglosassone, nei riferimenti bibliografici in corpo con il sistema autore-data come elemento di separazione fra l'opera (in particolare l'elemento data) e il/i numero/i di pagina.
Come simbolo matematico di divisione i due punti si trovano fra due numeri. Quando si usano come operatore aritmetico è uso separare con lo spazio i due punti sia dal dividendo e che dal divisore.
I due punti infine trovano impiego anche nella separazione fra ore, minuti e secondi, in sostituzione del punto fermo.
Parentesi
La parentesi (dal greco parénthesis 'inserzione' attraverso il latino tardo parĕnthesim) sono disponibili in cinque tipi diversi: tonde, quadre, graffe, angolate o uncinate.
Le parentesi tonde ( ) servono in alternativa alla lineetta, e in maniera più decisa e distaccata delle virgole, a isolare un inciso, un'annotazione, un commento.
Le parentesi quadre [ ] sono utilizzate nelle citazioni per segnalare omissioni, interpolazioni a testi mutili, commenti, inserimenti e testi estranei al contenuto citato. In linguistica si usano per indicare la pronuncia di un termine, la sua trascrizione fonetica generalmente in alfabeto IPA, International Phonetic Alphabet.
La notte fu un continuo tuonare. Lollo si rinserrò sotto le coperta [sic] e russò fino al mattino.
Le parentesi graffe { } servono a riunire vari termini o abbracciare il contenuto di più righe, categorizzare o concettualizzare un insieme di parole.
Le parentesi angolate ‹ › (per inserirle in Windows battere alt + 0139, alt + 0155) trovano impiego in filologia dove indicano brani mancanti o ricostruiti. In matematica servono a designare una coppia ordinata di numeri, per esempio ‹a,b›.
Le parentesi uncinate < > (chevron dei francesi) sono usate essenzialmente in ambito informatico per delimitare i marcatori in vari linguaggi, XML. In matematica sono utilizzate come simboli, non come parentesi, con il significato di maggiore > e minore <. In linguistica, sempre come simboli, si utilizzano per 'segue, diventa, si sviluppa in' il segno > e 'deriva, proviene da' il carattere <. Come parentesi invece sono impiegate per indicare un grafema, il segno grafico di un alfabeto:
La lettera <g>, il nesso consonantico <ch>.
Nelle discipline matematiche, le parentesi indicano l'ordine con cui vengono svolte le operazioni al loro interno. Parentesi graffe contengono parentesi quadre, parentesi quadre contengono parentesi tonde, al cui interno verranno effettuate le prime operazioni. La gerarchia è dunque graffa-quadra-tonda.{[( )]}.
Le parentesi di norma non vogliono segni di punteggiatura al loro interno. Il punto esclamativo, il punto interrogativo e le virgolette di chiusura precedono la parentesi chiusa solo se fanno strettamente parte del contenuto in parentesi, altrimenti seguono la parentesi chiusa. Il punto può trovarsi all'interno delle parentesi soltanto se l'intera frase è riportata in parentesi.
La parentesi aperta tranne che nelle elencazioni non è mai preceduta da altri segni di interpunzione.
Coppie consecutive di parentesi sono nei limiti del possibile da evitare. Nelle elencazioni è possibile trovare serie di parentesi separate dalla virgola o dal punto e virgola.
Punti di sospensione
I punti (o puntini) di sospensione detti anche punti sospensivi e anche tre puntini si impiegano per segnalare un'interruzione, un doppio senso, un'omissione, per preparare una battuta, per manifestare sorpresa o imbarazzo. Generalmente sono sempre in numero di tre. Ma questa è una convenzione recente, e tuttavia sempre più rispettata dalla totalità delle case editrici. Bice Mortara Garavelli (Prontuario di punteggiatura 2003 : 112) li chiama anche «puntini di reticenza» e annota non molto convintamente: «Tre, secondo le convenzioni stabilite e raccomandate; più di tre ad arbitrio degli scrittori», chiamando subito dopo a testimone Gadda che ne usa sempre quattro (p. 112).
Nella grammatica di Migliorini (1941:192), i puntini sospensivi sono elencati genericamente fra i segni di punteggiatura e accompagnati da un esempio del Manzoni con quattro punti. Ugualmente Trabalza e Allodoli (1934:21) negli esempi riporta tre, quattro e anche cinque punti di sospensione. Ma già in Battaglia-Pernicone (1954:70) si trova raccomandato l'uso dei tre punti nelle interruzioni e nelle sospensioni, mentre la stessa grammatica, trattando delle virgolette, fa uso di cinque punti negli esempi di omissione (p. 73).
Nella codifica dei caratteri anzi si trovano i tre punti disegnati come singolo glifo, in luogo della battitura di tre punti consecutivi (in Windows ottenibile con alt+0133, in Mac option+).
Punto
{pullquote}Uno pro puncto caruit Martinus Asello. Per un punto Martin perse la cappa.{/pullquote}Il punto, dal latino pŭnctu(m) derivato di pŭngere 'pungere', nella definizione del Grande Dizionario Italiano dell'Uso di De Mauro è «un segno grafico consistente in un minuscolo tondino» che si trova unito ad altri segni, sopra la i, sotto il punto esclamativo e il punto interrogativo, raddoppiato nei due punti e sovrapposto alla virgola nel punto e virgola.
Il punto fermo
Usato da solo, il punto è detto anche punto fermo e ha forte valenza grammaticale: conclude una frase o un periodo e segna una pausa forte nel discorso. Nello stile giornalistico e in quegli stili sovente definiti 'nervosi' il punto sostituisce spesso la virgola, spessissimo il punto e virgola, oggi in evidente crisi di identità.
Se contemporaneamente vi è anche un cambio di argomento, richiede anche che si vada a capo.
Dopo il punto è richiesta la lettera maiuscola per una nuova frase. Non si mette però la maiuscola dopo il punto eventualmente parte di un'abbreviazione.
Una proposizione che termini con una abbreviazione puntata o con qualunque altra parola che finisca con un punto non richiede l'impiego di due punti consecutivi alla fine, ma un solo punto che svolge in questi casi una duplice funzione.
Tecnicamente il punto va battuto senza l'inserimento di alcuno spazio, come accade per gli altri segni di punteggiatura. Lo spazio invece va sempre inserito dopo il punto, tranne nei casi di lettere puntate, sigle, abbreviazioni che contengano punti. Così per esempio:
nel 79 d.C. e non nel 79 d. C.
T.A. Edison e non T. A. Edison
Altri usi del punto
Come delimitatore, il punto è variamente impiegato. Nei testi non scientifici, il punto è tradizionalmente utilizzato nella scrittura dei numeri come separatore delle migliaia, isolando le cifre tre a tre, partendo da destra verso sinistra.
12.500 2.435.000
Anche in questo caso, però, si separano solo i numeri con più di quattro cifre, lasciando indivisi i numeri fino a 9999. Così per esempio in Sergio Rizzo, Razza stracciona, Milano, Rizzoli, 2012 : 145, si trova:
Circa 4000 euro per ciascuno dei 270.000 abitanti della provincia di Siena.
Questa abitudine è probabilmente da ricondurre a un criterio di uniformità, che vuole i numeri minori di diecimila equiparati agli anni di quattro cifre nelle date, scritti normalmente senza il punto. Ma non è una regola generale: il "Corriere della Sera", per esempio (24 marzo 2013), divide regolarmente anche i numeri di quattro cifre:
... a partire dal commerciante che pagherà tra i 4.452 e i 4.676 euro;
Si tenga presente che nei testi scientifici, tuttavia, il SI Sistema Internazionale di unità di misura, al fine di evitare confusioni fra i diversi utilizzatori raccomanda l'uso di uno spazio sottile come separatore delle migliaia e la virgola come separatore decimale.
12 500 2 435 000 3,14
È concesso l' uso del punto come separatore decimale nelle pubblicazioni in lingua inglese.
3.14
Il punto è utilizzato anche negli elenchi numerati, in alternativa al solo spazio tabulatore o, più raramente, alla parentesi tonda chiusa:
Confrontate le seguenti situazioni.
- In un ristorante affollato, un uomo dice al cameriere: «Guardi, abbiamo i biglietti per lo spettacolo teatrale e dobbiamo essere fuori di qui in quarantacinque minuti. Se non ci riusciamo, lo faremo sapere al suo capo».
- L'uomo dice al cameriere: «Abbiamo un problema. Abbiamo i biglietti per il teatro e dovremmo finire entro quarantacinque minuti. Ci può dare una mano?»
Anche nella scrittura di data e ora il punto si trova frequentemente usato come delimitatore nella sequenza giorno-mese-anno oppure in quella ora-minuti. Come separatore di ore e minuti è utilizzato in luogo della virgola che potrebbe dare più spesso adito ad equivoci, potendosi confondere l'orario con una grandezza decimale.
L'appuntamento è alle 17.30
Come separatore nelle date numeriche, sostituisce, direi con minore ingombro e maggiore eleganza, la sbarra obliqua o il trattino.
25.12.2000 invece di 25/12/2000 o 25-12-2000
Punto e virgola
Segna una pausa intermedia fra la virgola e il punto. Si utilizza negli elenchi e nelle enumerazioni complesse, quando vi è uno stacco sul piano formale ma non su quello del contenuto.
Punto interrogativo
È nota l'origine del punto interrogativo (question mark), che deve la sua forma alla lettera iniziale dell'originaria forma latina per esteso Quaestio, cioè ′domanda′, abbreviata successivamente in una Q seguita da un punto, la quale è divenuta poi la parte superiore del simbolo del punto interrogativo così come noi lo conosciamo. Non a caso infatti è detto anche 'punto di domanda'.
Il punto interrogativo è utilizzato in luogo del punto fermo quando ciò che precede è una domanda (Ritter 2002 : 130).
Sei stanco? Aspetti da molto?
Di solito la parola o la frase che segue il punto interrogativo prende la lettera maiuscola. Tuttavia se le proposizioni sono intimamente legate e proseguono l'una il senso dell'altra, per non interrompere il filo del discorso, è consentito dove non sia addirittura preferibile l'uso della minuscola.
"Come, di che giorno? non si ricorda ella che oggi è il giorno stabilito?"
Manzoni, I promessi sposi, Firenze, Felice Le Monnier, 1845 : p. 23
Il punto interrogativo è utilizzato per esprimere un dubbio editoriale, un'incertezza, o anche incredulità o disaccordo. Dubbi relativi a date o numeri in genere si trovano frequentemente espressi attraverso l'uso del punto interrogativo battuto di seguito al numero senza altri segni.
Gorgia di Lentini (483–375? a.C.) fu discepolo di Empedocle.
Si noti che nella pratica anglosassone il punto interrogativo in caso di date dubbie precede la data (Ritter 2002 : 132). In particolare nelle correlazioni di termini, come per esempio negli intervalli data-data, il punto interrogativo isolato può essere talvolta impiegato in sostituzione del termine incognito assumendo così il valore di 'ignoto, sconosciuto', come nell'esempio che segue:
Johann Gutenberg (?-1468) nacque a Magonza dal mercante Friele (Friedrich) Gensfleisch zur Laden e da Else Wyrich. Non si hanno notizie precise sull'anno di nascita che gli studiosi collocano fra il 1393 e il 1403.
In alcune correlazioni il punto interrogativo può sostituire la sola cifra finale, p. es. (1250-127?), a significare che sussistono dubbi solo per quel che riguarda l'anno. Va da sé che un tale impiego del punto di domanda deve essere condotto con molta cautela e applicato solo nei casi in cui non vi sia possibilità di fraintendimento alcuno. In molti casi può essere utile la riformulazione del periodo, sciogliendo le parentesi, ricorrendo a termini come circa, intorno.
Per evitare incomprensioni e non indurre il lettore a credere il punto interrogativo riferito o parte di ciò che sta leggendo, tuttavia torna spesso utile collocare il punto interrogativo in parentesi tonda. L'Oxford Guide to Style suggerisce di battere il dubbio senza spazio se questo è riferito al singolo vocabolo, spaziato normalmente se in dubbio è l'intera proposizione.
Il punto interrogativo come il punto fermo va battuto di seguito al testo senza alcuno spazio prima, ma richiede uno spazio dopo.
Sbarra
La sbarra obliqua (o barretta o barra di frazione) è utilizzata per indicare rapporti o grandezze frazionarie, 3/4, 2/3 e così via. Come semplice separatore si usa nelle sequenze di cifre,
Legge 24/81
e nelle date dove sarà opportuno sostituirla con il punto:
3/7/1987, ma meglio 3.7.1987
Si usa anche per indicare alternanza o disgiunzione il/gli. Con carattere abbreviativo è rimasta nella dicitura italiana presso c/o in uso nella corrispondenza derivata dalla locuzione inglese care of, a cura di.
La sbarretta obliqua è largamente impiegata nel linguaggio informatico dove ha il compito di dividere le directory, con il significato di 'contenuto in'. La doppia sbarra // segue sempre la dichiarazione del protocollo usato in comunicazione, http:// oppure ftp://. Per esempio, la dicitura
http://www.sigmastudio.it/stile/punteggiatura/sbarra.html
rappresenta l'indirizzo di questa pagina, dove la doppia sbarra ha funzione dichiarativa del protocollo mentre la sbarra singola introduce ogni volta in una cartella o directory diversa.
Ultimamente trova impiego anche nella sostituzione di 'su' o 'per' nelle locuzioni 24 ore su 24 oppure 24 ore per ogni giorno della settimana, che si scrivono rispettivamente, principalmente nei messaggi pubblicitari, 24/24 oppure 24/7.
È usata, in alternativa alla sbarra verticale (|), per separare gli a capo di versi riproposti in forma estesa. A volte con lo stesso criterio è impiegata per segnalare, ove ciò sia ritenuto di particolare importanza, il cambio pagina originale di un'edizione ripubblicata in formato e caratteri diversi.
In linguistica si utilizza nelle trascrizioni fonematiche, con attenzione quindi alla sequenza dei fonemi che compongono la parola che non coincide necessariamente con la sua trascrizione fonetica.
Trattino e lineetta
Nota terminologica
Il vocabolario italiano non distingue propriamente il trattino dalla lineetta, trattandoli alla stregua di sinonimi. Anche se per quanto riguarda la lunghezza si riconoscono dimensioni superiori alla lineetta, spesso definita più lunga del trattino, tuttavia non sempre si riconoscono attribuzioni funzionali specifiche ai due segni tali da definirli in maniera univoca in ogni ambito. Così per esempio De Mauro, alla voce lineetta, fornisce una definizione del tutto identica a quella che si trova sotto il lemma trattino:
Più preciso in apparenza il Vocabolario Treccani che alla fine rimane nell'incertezza senza fornire il criterio definitivo in base a cui distinguere un trattino da una lineetta, nonstante si arrivi nel testo a definire anche alcune regole sull'uso degli spazi con la lineetta. Il Sabatini Coletti (versione elettronica 2012) e lo Zingarelli 2011 riconoscono dichiaratamente la lineetta essere un tratto più lungo del trattino.
Definizioni analoghe del trattino (detto anche tratto di unione o trattino breve) e della lineetta (detta anche tratto di divisione o trattino lungo) si riscontrano nel Prontuario di punteggiatura di Bice Mortara Garavelli.
D'altra parte va considerato che il vocabolo trattino ha storia recente. Infatti il trattino è assente nel Manuale Hoepli in 2 voll. di Salvatore Landi, Tipografia (1892), mentre sono impiegate in sua vece le voci tratto d'unione, tratto di divisione e lineetta. Ampiamente riconosciuto nella letteratura di settore, tutti i dizionari lo danno entrato nella lingua nel 1961, anche se si trova già nella Grammatica italiana di Battaglia e Pernicone (Torino, Loescher-Chiantore, 1954) ed è addirittura trattato nella grammatica del Migliorini:
Il vocabolo trattino, con implicazioni non strettamente grammaticali, è molto più antico. Lo si legge a p. 48, 60, 62, e soprattutto come “trattino d’unione” a p. 88 di una pubblicazione musicale del 1847: Quattro opuscoli musicali di P.S., Milano, Tipografia e libreria di Giusepe Chiusi. Prima di arrivare a Migliorini, è possibile rinvenire il termine anche nel "Giornale vinicolo italiano" (Casale Monferrato Alessandria, 1889, vol. 15, p. 17); in Zanino Volta (Delle abbreviature nella paleografia latina, Cisalpino-Goliardica, 1892, pp. 148, 169); in Giuseppe Bertelli (Disegno topografico, Ulrico Hoepli, 1894, pp. 47, 56); nei Documenti per servire alla storia di Sicilia, Palermo, Società siciliana per la storia patria, 1899, p. 288).
I nomi del trattino
A peggiorare la situazione contribuisce in modo rilevante la codifica Unicode, che ha introdotto un numero considerevole di trattini o lineette, in inglese elencati genericamente tutti sotto la voce dash, per i quali tuttavia la lingua italiana non ha nomi che ne agevolino l'identificazione in maniera univoca.
Ci ha provato Roberto Lesina che nel Nuovo Manuale di Stile distingue fra trattino, tratto e lineetta (nell’edizione del 1986 comparivano solo trattino e lineetta). Nei suggerimenti di Mappa caratteri di Windows il trattino stranamente viene detto segno di sottrazione forse da una traduzione letterale della corrispondente voce inglese ‘hyphen minus’, ma in evidente confusione con il segno di sottrazione, mentre l’en dash è chiamato trattino breve e l’em dash è detto trattino lungo. Anche LaTex individua i differenti glifi semplicemente come ‘quattro diversi tipi di trattini’. (-, --, ---, $-$, corrispondenti alle battute sulla tastiera per ottenere il trattino semplice, il trattino medio, il trattino lungo e il segno meno).
Anche nel manuale d’uso di Indesign CS6 si parla di trattino di sillabazione, trattino facoltativo e trattino unificatore e lineetta con una certa proprietà di linguaggio, tuttavia l’inserimento di un trattino attraverso il menu Inserisci carattere speciale > Trattini e spazi > Trattino determina l’immissione di una lineetta en dash, non già di un semplice trattino.
Le grammatiche in generale, anche le moderne, e alcuni manuali, tacciono l’esistenza di altri segni e pur distinguendo perfettamente il trattino dalla lineetta sul piano funzionale, confondono spesso i relativi segni tipografici: Garzanti con Giuseppe Patota (Grammatica di riferimento dell’italiano contemporaneo, 2006), Giunti con Elisabetta Perini (Scrivere bene (o quasi), 2011), Bruno Mondadori con Giuseppe Pittano (La comunicazione linguistica, 1988), Apogeo con Mariuccia Teroni (Manuale di redazione, Apogeo, 2007, p. 164), per fare degli esempi, parlano della lineetta mentre scrivono e descrivono un trattino medio, una en dash, cioè una lineetta breve, le cui differenze dalla lineetta propriamente detta, una em dash, evidentemente non rilevano sul piano formale. Si direbbe in altre parole sia possibile usare indifferentemente il segno breve o lungo della lineetta essendone indifferenziata la funzione.
Nel tenere a mente che in generale il trattino unisce mentre la lineetta divide, chiameremo convenzionalmente (vedi infra) semplicemente trattino il trattino breve di sillabazione (l'hyphen minus), riserveremo il nome di lineetta enne alla en dash e di lineetta emme o semplicemente lineetta nei casi inequivoci alla em dash. Continueremo a chiamare trattino numerico il figure dash, e segno meno o segno di sottrazione il minus sign.
I trattini Unicode
Nel documento General Punctuation, Range: 2000-206F (http://www.unicode.org/charts/PDF/U2000.pdf) che contiene un estratto del codice caratteri e dei loro nomi secondo lo standard Unicode, vers. 6.2 sotto la voce generica 'Dash', raccoglie sei diversi tipi di tratti, trattini e lineette. A queste va aggiunto il segno meno ‘minus sign’ Unicode 2212 illustrato in Mathemathical operators, Range 2200-22FF (http://www.unicode.org/charts/PDF/U2200.pdf) il cui uso è specificamente consigliato con i numeri per risultati che siano sensibilmente diversi e professionali nell'aspetto da quelli in genere ottenibili con l’hyphen minus 002D.
L’Unicode 2E3A codifica la doppia lineetta ‘two-em dash’, un segno quasi mai disponibile nel disegno dei caratteri eppure di grande importanza. E mancano ancora ovviamente in questo elenco il trattino basso e le lineette soprascritte.
Nome
|
Unicode
|
Segno
|
Windows
|
Mac
|
Html
|
hyphen minus |
002D
|
-
|
-
|
-
|
-
|
figure dash |
2012
|
‒
|
|
|
|
en dash |
2013
|
–
|
Alt + 0150
|
option + -
|
&endash; |
em dash |
2014
|
—
|
Alt + 0151
|
option + maiuscolo + -
|
&emdash;
|
horizontal bar |
2015
|
―
|
|
|
|
minus sign |
2212
|
−
|
|
|
−
|
Tab. 1 - Inventario dei trattini Unicode
I trattini sulla tastiera
L’ostacolo maggiore all’uso puntale dei trattini, una volta stabilite le regole per un loro corretto impiego, consiste nelle limitazioni da tastiera e nella mancata implementazione dei segni Unicode corrispondenti in molti set di caratteri, ancorché siglati Open Type Pro.
Le limitazioni da tastiera si conservano inalterate rispetto all’uso consolidato sulle macchine per scrivere che prevedono un solo trattino per tutti gli usi. Le tastiere dei computer, basate su codici ASCII, ugualmente prevedono la battitura del solo trattino, mentre gli altri segni sono eventualmente disponibili solo con combinazioni più o meno complicate di tasti, variabili a seconda dei sistemi operativi e/o a seconda del programma utilizzato.
Da tastiera insolitamente infatti il trattino e il segno meno sul tastierino numerico producono lo stesso glifo 002D (-), mentre la combinazione con il tasto maiuscole permette esclusivamente l’inserimento del cosiddetto trattino basso, il ‘low line’ Unicode #005F (_). Sotto Windows l’inserimento delle lineette è possibile solo battendo i codici numerici combinati con il tasto Alt, nello specifico Alt+0150 per il trattino medio (–), Alt+0151 per la lineetta (—).
In ambiente Mac, sin dai primi modelli furono disponibili tre tipi di tratto: trattino, en dash e em dash, anche si è trascurato sempre di dar loro un nome in italiano. La lineetta è accessibile dal tasto del trattino premendo contemporaneamente i tasti option + maiuscolo. Le cose cambiano sensibilmente spostandosi all’interno di programmi specializzati di impaginazione, ma probabilmente a tal punto le abitudini acquisite in maniera errata diventano già troppo difficili da modificare.
Come si vede dalla tabella 1 a parte il trattino, gli altri segni presentano obiettive difficoltà di inserimento dovendosi battere più tasti contemporaneamente. Per il trattino numerico, la barra orizzontale e il segno meno non esistono combinazioni di tasti adatte su nessun sistema operativo.
Uso del trattino
In tipografia il trattino (-) è una breve linea orizzontale di larghezza pari a 1/3 del corpo del carattere, in genere inferiore alla larghezza di un singolo carattere. Nella stampa è utilizzato per andare a capo nella divisione in sillabe delle parole (nella scrittura a mano è frequentemente usato in sua vece il segno =). Ugualmente si impiega nella scansione sillabica delle parole che si vogliono scritte evidenziandone le sillabe:
trat-ti-no fiam-ma-ta co-lo-ra-re
Si usa il trattino per stabilire una legatura fra parole diverse che non si trovano comunemente insieme, ma quando le parole sono entrate nell'uso comune si fa in genere a meno del trattino.
gonna-pantalone (si trova anche come termini separati, gonna pantalone), sindaco-candidato, Monti-bond (Corriere della sera 01.02.2013).
Gli italoamericani, il periodo postbellico, verderame
La fase di accreditamento di una parola composta, parte per motivi legati alla reale diffusione del vocabolo, parte per questioni dovute alla personale percezione di chi scrive, registra spesso un'incertezza nella scrittura che assicura valide entrambe le forme. Per esempio:
mountain-bike ma anche mountainbike
In tal caso si preferisca la forma senza trattino: ha maggiori probabilità di affermazioni.
Si usa il trattino quando si stabilisce una relazione fra due termini:
il derby Roma-Lazio, il treno Torino-Lione, l'autostrada Firenze-Bologna
Il trattino è impiegato nelle sequenze per indicare intervalli compresi fra gli estremi. Negli intervalli di tempo, nelle parole composte, nelle relazioni fra termini, nella designazione di insiemi.
Uso della lineetta emme
La lineetta emme (—) si usa per introdurre un discorso diretto in luogo delle virgolette o per segnalare un inciso, generalmente più forte e distaccato di quanto non facciano virgole e parentesi. A tale proposito sono illuminanti le parole di Lepschy (cito da Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, p. 36): Il trattino lungo ha in genere la funzione di separare, il trattino breve di unire le parole fra cui si trova.
Se l'inciso isolato dalle lineette si chiude con un punto solitamente si omette la seconda lineetta.
È vero che l'uso del quadratone, la lineetta lunga, può in alcuni casi e per particolari caratteri, tipo il Garamond, apparire ingombrante e troppo vistosa.
Uso della lineetta enne
La lineetta enne (–) non avrebbe molti motivi di utilizzo se fossero puntualmente rispettati gli impieghi degli altri trattini. Fatto sta che la lineetta enne è di fatto il trattino maggiormente utilizzato. Anche il Chicago Manual of Style (16th ed.) lamenta la confusione generale a carico della lineetta emme impropriamente sostituita da moltissimi operatori /editori con la lineetta enne.
La lineetta enne grazie alla sua maggiore disponibilità nei caratteri da una parte e alla facilità con cui è possibile recuperare il segno sulla tastiera dall'altra è di fatto impiegata anche in sostituzione dl segno meno nelle formule e del trattino numerico nella scrittura degli intervalli numerici da parte di quegli editori che ne riconoscono l'impiego.
Alessandro Manzoni (1785–1873) mentre più comunemente si trova Alessandro Manzoni (1785-1873)
La lineetta enne deve essere inoltre obbligatoriamente utilizzata negli intervalli complessi di date o nell'unione separazione di gruppi di parole unite dal trattino. In tali casi la lineetta sarà preceduta e seguita dal uno spazio.
Alessandro Manzoni (7 marzo 1785 – 22 maggio 1873)
Il tratto autostradale Napoli-Capodichino – Caserta
Uso del segno meno
Il segno meno deve essere impiegato obbligatoriamente quando il trattino rappresenti l’omonimo operatore matematico. Nelle formule matematiche l'operatore richiede spazio prima e spazio dopo:
72 − 48 = 24
Oltre che nelle formule, si userà il segno meno senza spazio dopo per indicare quantità negative:
Faceva molto freddo. La temperatura era scesa a −2 °C.
Virgola
La virgola (dal lat. vĭrgŭlam diminutivo di virga 'verga', quindi piccola verga) segna una pausa breve nel discorso. Serve a isolare un inciso o per coordinare proposizioni o parole. In matematica si usa per separare le cifre decimali dagli interi.
L'uso grammaticale della virgola è incerto in molti casi, potendosi rimandare allo stile personale di ognuno. Più che affermare l'obbligatorietà dell'uso, sarà bene parlare di preferenza nell'uso. Sarà buona regola tuttavia, nei casi dubbi, a meno che si sappia perfettamente ciò che si sta facendo, seguire l'uso comune.
Virgolette
Le virgolette, così dette perché somiglianti a piccole virgole, in italiano sono di due tipi: virgolette alte (“ ”) adesso dette inglesi, in realtà dette italiane, e virgolette basse (« ») dette anche sergenti o caporali, denominazione dovuta all'evidente richiamo ai gradi militari. A queste vanno aggiunti gli apici (‘ ’), detti anche virgolette semplici.
Le virgolette basse, conosciute anche con il nome francese di guillemets dal tipografo francese Guillaeme che nel Seicento per primo pare ne abbia fatto uso, sono impiegate nelle citazioni in corpo, nei dialoghi e nei titoli di testate giornalistiche, dove si contendono l'uso con le virgolette alte.
Le virgolette alte sono utilizzate nelle citazioni all'interno di citazioni e nei casi in cui si voglia sottolineare un termine (in alternativa all'uso del corsivo) o sottolinerarne il significato particolare o gergale o anche familiare.
Gli apici si trovano quasi esclusivamente in linguistica, per riportare il significato di vocaboli stranieri o dialettali. Non è raro l'utilizzo in luogo delle virgolette alte soprattutto nell'editoria giornalistica.
La lingua inglese conosce solo virgolette alte, indiscriminatamente. Per le citazioni all'interno di citazioni usa le virgolette semplici.
Come altri segni di punteggiatura entrambi i simboli, di apertura e di chiusura, vanno battuti in genere senza spazio. Alcune case editrici (Einaudi, il Mulino) conservano un'impostazione 'storica' e inseriscono uno spazio indivisibile dopo le virgolette basse aperte e prima delle virgolette basse chiuse, in memoria dell'uso primigenio delle virgolette basse che servivano a segnalare, ripetute all'inizio di ogni rigo, il testo citato da altre fonti e riportato tal quale nel discorso. Le virgolette in questo caso erano opportunamente distanziate dal testo e a volte anche poste fuori gabbia.